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Bisognava chiamarsene fuori quando si era in tempo PDF Stampa E-mail

10 Ottobre 2022

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 Da Appelloalpopolo del 5-10-2022 (N.d.d.)

Bimbi, questa è l’Unione Europea, cosa pensavate che fosse? Non esiste nessuna solidarietà, nessuna sussidiarietà, nessuna strategia comune. È solo e soltanto un giochino fatto con delle regole arbitrarie, imposte dal più forte, e che conduce strutturalmente, inevitabilmente al mors tua vita mea. Con queste regole (Maastricht e moneta unica) calibrate per favorire il mercantilismo tedesco, la sua area di influenza nordeuropea con la complicità francese, i tedeschi hanno accumulato una enorme riserva di ricchezza che adesso riversano nell’economia reale per proteggere il loro sistema nazionale. E se ne fottono altissimamente se di fatto questi sono aiuti diretti dello Stato, la qual cosa è vietata dai Trattati di cui loro sono stati sempre zelanti ed inflessibili tutori, facendo ringhiare contro di noi olandesi, finlandesi e perfino quei parassiti fiscali del Lussemburgo.

Bisognava chiamarsene fuori quando era tempo, preparandosi a reggere in momenti come questi. Adesso probabilmente sarebbe solo uno sfizio, perché di fatto, con quello che vedremo da qui in avanti, sarà un tana liberi tutti in cui ognuno si arrangerà per come può. Con chi prendersela? Con Draghi, Monti, Ciampi e tutta la genìa di europeisti che abbiamo visto zelanti in questi anni? Nossignore: la colpa è, come al solito, della pletora di fessi che gli hanno creduto mandando al macero il cervello, la logica, la storia e l’amor patrio.

Giuseppe Meola

 
Valgono solo i rapporti di forza PDF Stampa E-mail

8 Ottobre 2022

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Nelle polemiche a volte feroci che si accendono attorno alla guerra in corso al centro dell’Europa, si fa appello a princìpi che dovrebbero regolare i rapporti internazionali. Questi princìpi esistono e si possono riassumere nei seguenti tre, con un quarto da considerare una correzione del terzo: 1- rispetto dell’integrità territoriale degli stati riconosciuti internazionalmente; 2- riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione; 3- non ingerenza negli affari interni delle altre nazioni; 4- diritto di “ingerenza umanitaria” qualora un aggressore voglia imporsi su un aggredito più debole.

Ebbene, i primi due princìpi in moltissimi casi confliggono fra loro, in quanto all’interno di molti stati nazionali ci sono minoranze linguistiche e religiose che alla luce del secondo principio avrebbero diritto alla secessione, negando così validità al primo principio. Perfino in Italia potrebbe porsi il problema, visto che la minoranza di lingua tedesca è maggioranza in Alto Adige e potrebbe legittimamente chiedere di far parte dell’Austria. Ma vediamo più in dettaglio alcuni dei numerosi casi di contraddizione fra i primi due princìpi, limitandoci agli ultimi 30 anni. La Jugoslavia sarebbe dovuta rimanere unita in base al primo principio. Tuttavia, vi coesistevano popolazioni di lingue, religioni e costumi diversi, che avrebbero potuto rivendicare l’indipendenza in base al secondo principio. Cominciarono a farlo sloveni e croati, anche su sollecitazioni esterne. Fu guerra coi serbi. I croati conquistarono la loro indipendenza, ma nel nuovo stato croato viveva una minoranza di serbi che non avevano avuto problemi a restare nelle loro aree quando quella era Jugoslavia, minoranza che non volle sottostare al nuovo governo dopo la secessione. Anche loro avevano diritto all’autodeterminazione in base al secondo principio. In Bosnia coesistevano musulmani, croati e serbi quando quella era Jugoslavia. Diventata indipendente la Bosnia, i serbi presero le armi per rivendicare a loro volta il diritto all’autodeterminazione. La NATO, che non è un’alleanza a scopi puramente difensivi come sostengono i suoi paladini, bombardò i serbi. Il Kossovo era una provincia della Serbia, abitata da albanesi di religione musulmana e da serbi di religione cristiano-ortodossa. Appellandosi all’autodeterminazione dei popoli, i musulmani rivendicarono l’indipendenza. Appellandosi all’integrità della nazione, i serbi la negarono. Fu guerra e la NATO bombardò Belgrado per costringere la Serbia a riconoscere l’indipendenza del Kossovo. Allora il dramma fu dei serbi del Kossovo costretti a lasciare le loro case. Ai bombardamenti della Serbia partecipò l’Italia governata allora dall’ex-comunista D’Alema (molto ex e poco comunista). Trasferiamoci nell’Asia occidentale. I curdi abitano regioni appartenenti a Turchia, Siria, Iraq e Iran. Appellandosi al secondo principio, rivendicano un loro stato, negato dai governi nazionali che si fanno forti del primo principio. Si potrebbe continuare a lungo con gli esempi, non escluse la Catalogna e la Scozia che aspirano all’indipendenza rispettivamente da Spagna e Regno Unito. È evidente che portando al limite queste logiche indipendentistiche, si giunge al tribalismo, alla disintegrazione di quasi tutte le entità statuali.

Il ragionamento riguarda da vicino la questione del Donbass e della Crimea. I russi che abitano alcune regioni del paese non avevano difficoltà quando quella era Unione Sovietica. Diventata Ucraina indipendente, con un governo fortemente nazionalista e antirusso, le difficoltà sono diventate insormontabili. Se facciamo valere il primo principio, la ragione è tutta dalla parte dell’Ucraina. Se facciamo valere il secondo principio, la ragione è tutta della Russia, che protegge le aree abitate da russi che in maggioranza si sentono parte integrante della loro madrepatria. Come risolvere il dilemma della contraddizione fra i primi due princìpi? La via obbligata è quella di un ordinamento costituzionale che garantisca autonomie alle regioni abitate da gruppi etnici minoritari in ambito nazionale ma maggioritari in quelle aree. Il fatto è che una legislazione che preveda le autonomie non può essere imposta dall’esterno con la forza delle armi o delle sanzioni. Deve essere una decisione presa all’interno dello Stato e delle sue istituzioni. La via fu tentata fra Russia e Ucraina con gli accordi di Minsk. Quegli accordi sono stati subito violati dal governo ucraino, che ha proibito l’insegnamento del russo e l’uso della lingua russa, imponendo le logiche di un nazionalismo estremista. In conclusione, il conflitto fra i due primi princìpi è insuperabile. Essi sono nella pratica inconciliabili.

Quanto al terzo principio, quello della non intromissione negli affari interni di uno stato, è ascrivibile alla categoria, molto affollata, dell’ “aria fritta”. Roba da “anime belle”. Non si è mai dato che una potenza rinunci a interferire in vicende altrui, per difendere i propri interessi. Per questo le accuse alla Russia o, specularmente, agli USA di interferire nella vita politica di altri stati, sobillando parte dell’opinione pubblica o cercando di condizionare le elezioni, sono nello stesso tempo fondate e insignificanti. Quello che è sempre stato sempre sarà. Il corollario del terzo principio vale a dire la pretesa moralistica di correre in aiuto del più debole aggredito, anche con la forza armata, è chiaramente niente altro che un pretesto ipocrita che consente qualunque interferenza e qualunque aggressione.

In definitiva, il tentativo di fissare regole che definiscano un diritto internazionale valido per tutti, fallisce sistematicamente e miseramente. Nelle relazioni internazionali, e non solo in queste, vige un solo principio ferreo: la legge del più forte. Forse su altri pianeti sparsi per l’universo le cose vanno diversamente. Sul pianeta Terra stanno così, sempre e ovunque. Queste considerazioni desolanti sembrano invitare al disimpegno, al non prendere posizione. A livello individuale invece è doveroso schierarsi, purché si sia consapevoli del fatto che la nostra presa di posizione è dettata da pregiudizi ideologici, da impulsi morali e da sentimenti di repulsione o di simpatia. Personalmente, mi attengo a una presa di posizione pregiudiziale, di ordine moralistico, a favore dell’aggredito, che è sempre il più debole. Il guaio è che nelle concrete condizioni storico-politiche, non è sempre facile stabilire chi sia l’aggredito e chi l’aggressore. Nel caso specifico della guerra in corso in Europa, apparentemente l’aggredita è l’Ucraina e l’aggressore la Russia, però se intendiamo quel conflitto come uno scontro fra Russia e NATO, le responsabilità si ribaltano. L’aggressore, come prevedeva perfino Kissinger fin dagli anni Novanta del secolo scorso, è la NATO, l’aggredito la Russia. Come sempre, ognuno di noi è tenuto all’atto discriminante del dover scegliere. Anche la non-scelta è una decisione che coinvolge la condizione esistenziale di essere responsabili delle nostre azioni.

Luciano Fuschini

 
Tagliano i ponti PDF Stampa E-mail

7 Ottobre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 5-10-2022 (N.d.d.)

Forse l’evento che più mi ha colpito negli ultimi tempi è stato l’attentato terroristico ai gasdotti del Baltico che sono (erano) la via principale di rifornimento energetico della Germania e dell’Europa occidentale ed anche le reazioni che si stanno sviluppando in seguito ad esso. L’evento è di importanza capitale, si presta a sancire lo spartiacque tra due epoche, eppure le reazioni ad esso in occidente sono piuttosto blande, sembra che i  media non gradiscano parlarne, mantengono un basso profilo, insinuando una responsabilità russa, ma senza approfondire l’argomento, poiché l’ipotesi è talmente illogica che  argomentarla, approfondirla, significherebbe mettere in evidenza la sua sostanziale inconsistenza: è qualcosa che va accennata nebulosamente, non precisata, per poter conservare una pur minima credibilità. L’impressione generale è che tutti sappiano benissimo da chi è stato progettato ed eseguito l’attentato, ma nessuno ha voglia di dirlo.

Eppure si tratta di qualcosa che avrà conseguenze più gravi dell’attentato di New York del 2001 che fu con tutta probabilità uno spettacolo progettato e sceneggiato esclusivamente ad uso propagandistico ed ebbe perciò una risonanza talmente spropositata che ancora ne sentiamo l’eco. Nel caso odierno le vittime, le persone che dovranno soffrire e morire per le sue conseguenze saranno probabilmente molto più numerose. Per fare un paragone militare, è come se si facessero saltare i ponti che erano l’unica via di ritirata delle proprie truppe in difficoltà per essere sicuri che resteranno sul posto a morire e non si ritireranno. Anzi, ancora più grave: è far saltare le vie di fuga delle truppe di un alleato in difficoltà. Incredibile che questo alleato invece di prendere atto della situazione e chiedersi finalmente chi siano i nemici e chi gli amici, continui imperterrito a lavorare per il suo sabotatore.

Il trattamento che gli americani riservano agli europei non è alla fine sostanzialmente differente da quello usato per il popolo ucraino, solo un poco meno apertamente brutale date le diverse circostanze di fatto. Non meno degli ucraini, gli europei sono carne da cannone, anche se un poco meno untermensch: infatti non parlano russo. L’attentato è evidentemente un atto di guerra contro la Germania e l ’Europa in quanto colpisce infrastrutture vitali, e rende chiaro a coloro che vogliono vedere la verità che l’aggressione in corso non è diretta solo contro la Russia, ma anche contro l’Europa, con la differenza sostanziale che almeno la Russia non combatte a favore del nemico. L’umiliazione tedesca è resa ancora più clamorosa dalla creazione del centro di comando Nato, cioè statunitense, proprio in Germania che in tutto e per tutto viene trattata come una colonia militarmente occupata e chiamata a sacrificarsi per la gloria della metropoli. Bismark si starà girando nella tomba e la Merkel nel letto, mentre il nuovo cancelliere, paragonato dallo stesso ambasciatore ucraino, che pure è suo beneficiato, a una salsiccia di fegato, pare invece di statura morale perfettamente adeguata ai suoi attuali doveri.

Come tutti i commentatori non arruolati nella propaganda statunitense vanno da tempo ripetendo, l’obbiettivo principale degli americani non è solo distruggere la Russia, ma soprattutto la convivenza collaborativa, costruttiva e pacifica tra l’Europa e la Russia per il vantaggio comune, che li relegherebbe inevitabilmente in secondo piano. Insomma, sia l’Europa, che la Russia, devono morire per il loro superiore interesse di nazione eletta. I governi europei perlopiù non reagiscono, fanno finta di non vedere, di non sapere. D’altra parte i popoli, incredibilmente rincoglioniti dall’omnipervasiva propaganda dei media, continuano a votare (o non votare), in favore di questi governi che oggettivamente non potrebbero fare di più per danneggiare i loro stessi concittadini. Anche all’interno della minoranza dei “risvegliati” che si rendono conto di cosa sta realmente accadendo al di là della finzione mediatica, molti si limitano a sperare in un intervento salvifico esterno, spesso identificato con Putin, che li liberi dal giogo dell’élite corrotta. A me pare che le speranze di uscirne vivi senza una propria organizzazione politica interna con le idee chiare e gli obbiettivi precisi, siano quasi nulle. In questo sono decisamente leninista, penso che occorra un’avanguardia organizzata di gente che veda chiaramente gli obbiettivi per poter avere una qualche speranza di riuscita. La parola chiave è “organizzata”. Mi sembra che la situazione generale si stia deteriorando sempre più ogni giorno che passa, l’amministrazione americana continua senza sosta cercare lo scontro e ad alzare la posta senza alcun segno di ragionevolezza. I russi, che sono i principali bersagli, ma anche tra i pochi in grado di opporsi apertamente, sembrano avere alla fine abbandonato l’atteggiamento di estrema prudenza tenuto fino a questo punto che, d’altra parte, non era servito affatto a placare furore distruttivo statunitense che al contrario pare più incoraggiato che disincentivato dalle risposte ragionevoli. Probabilmente gli americani pensano che anche un’eventuale escalation della guerra possa svolgersi come per due volte è successo in passato esclusivamente sul suolo europeo lasciandoli praticamente indenni. Tuttavia il Cremlino pare aver compreso la lezione e ha già dichiarato con enfasi che non sarà così e l’oceano non sarà sufficiente a far loro da scudo.

Il Referendum e la riunificazione alla Russia delle provincie occupate sembra anch’esso, come l’attentato al gasdotto, un punto di non ritorno, un tagliarsi i ponti dietro e il discorso di Putin lascia pochi dubbi sulle intenzioni dei russi. Le sue parole, pur non dicendo nulla di nuovo, sono un’accusa pesantissima all’occidente a egemonia americana e probabilmente rispecchiano perfettamente quello che pensano da sempre i paesi non occidentali come Cina, India, Brasile e un poco tutto il terzo mondo che ha provato l’umiliazione della colonizzazione sulla sua pelle, ma sentirle pronunciare ufficialmente dal leader di una delle maggiori potenze fa indubbiamente tutto un altro effetto. Immagino che le cancellerie occidentali siano diventate livide di rabbia a sentirsi dire in faccia la verità su chi sono, cosa hanno fatto e stanno facendo al resto del mondo e ultimamente ai loro stessi popoli. C’è da aspettarsi che reagiscano alzando la posta, con ulteriori misfatti e provocazioni. Almeno questo è stata finora la reazione tipica dei neocon americani.

Le continue chiacchiere del circo mainstream circa le pretese minacce russe di usare armi nucleari per fermare i resistibili ucraini, corroborate dalla voluta distorsione delle parole dei leader russi in proposito, non sono un segnale incoraggiante: sembrano infatti più minacce di usarle loro le armi atomiche che preoccupazione che li usi il nemico.  Mi sembra grandemente improbabile che se i russi decidessero di usare armi atomiche, le userebbero a casa loro. Pare insomma di trovarsi di fronte a quel tipo di persone che, al fine di apparire vittime senza macchia, attribuiscono agli altri le proprie caratteristiche e le proprie intenzioni. Il dottor Freud la chiamava proiezione. L’atmosfera che si respira è a questo punto quella di attesa di eventi decisivi e pericolosi. Probabilmente l’inverno che sta arrivando non sarà un momento facile nella storia dell’umanità, ma non credo ad una guerra nucleare, pensate solo a questo: Zelensky ha chiesto l’ingresso immediato nella Nato, gli americani hanno risposto bene, certo, sì, però, … adesso non ci pare il momento giusto …  Forse del tutto pazzi ancora non sono. Come europeo, mi preoccupa di più cosa accadrà del nostro livello di vita che vedo gravemente minacciato nelle mani di questi burattini senza cervello che abbiamo al timone. E poi, se davvero ci sarà la guerra nucleare, nessuno mi verrà a dire che ho sbagliato le previsioni.

Nestor Halak

 
Dissoluzione di fatto dell'UE PDF Stampa E-mail

6 Ottobre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 4-10-2022 (N.d.d.)

La retorica dell’Europa unita, delle risposte comuni e della solidarietà europea indispensabile per affrontare le emergenze, si infrange dinanzi al piano di 200 miliardi stanziati dalla Germania per far fronte al caro energia e proteggere quindi famiglie ed imprese tedesche dagli effetti dei rincari energetici. I 200 miliardi di finanziamenti erogati dalla Germania contro il caro energia e l’inflazione (che si aggira attualmente intorno al 10%), costituiscono un programma di aiuti pubblici unilaterali. L’importo di 200 miliardi equivale al totale dei fondi del Pnrr concessi all’Italia in 6 anni e supera del 40% i 140 miliardi di entrate previsti per la tassa sugli extra profitti delle imprese energetiche. Tale manovra sarà finanziata dal Fondo di stabilizzazione dell’economia, ma sarà esclusa dal bilancio ordinario, così come gli investimenti di 100 miliardi stanziati dalla Germania per il riarmo. Pertanto, secondo la prassi tedesca ormai consolidata del ricorso agli artifici contabili, tali finanziamenti non costituiranno nuovo debito pubblico.

Non si comprende tuttavia lo scalpore destato in sede europea dall’unilateralismo prevaricatore tedesco, da sempre praticato nella UE, in aperta violazione delle normative europee e a danno degli altri partner. Il ventennale primato tedesco in Europa si è potuto realizzare infatti solo mediante la sistematica violazione delle norme europee. La UE si è di fatto un’area unitaria di espansione economica tedesca. L’export tedesco ha invaso l’Europa e destrutturato le economie degli altri paesi membri ignorando i limiti imposti ai surplus commerciali dai trattati europei. Le norme sulla concorrenza e sul divieto di aiuti di stato sono state da sempre eluse dalla Germania che, con il ricorso ai finanziamenti pubblici ha realizzato il salvataggio di un sistema bancario già inondato da titoli spazzatura e prossimo al default a seguito della crisi dei subprime del 2008. La Germania, con larghi sforamenti dei parametri di bilancio della UE, nel 2003 ha erogato sussidi a pioggia per sostenere la sua industria. La stessa Germania, con massicce concessioni di “credito facile” ai paesi del sud europeo ha provocato crisi del debito devastanti, salvo poi imporre alla Grecia politiche di austerity e rigore finanziario con annessa macelleria sociale, al fine di rientrare dei crediti insoluti. La crescita esponenziale dell’export tedesco è inoltre dovuta alla adozione della moneta unica europea. Dato che la quotazione dell’euro sui mercati dei cambi dipende dall’andamento complessivo delle economie dell’intera Eurozona, l’export tedesco ha potuto giovarsi di un tasso di cambio assai favorevole, dal momento che il valore dell’euro è assai inferiore a quello che avrebbe avuto il marco. Al contrario la moneta unica ha penalizzato l’export dell’Italia, che con l’euro non ha più potuto giovarsi della flessibilità dei cambi. La UE non ha prodotto crescita e stabilità in Europa, ma ha generato un trasferimento di ricchezza dal sud al nord dell’Europa e pertanto alla crescita tedesca ha fatto riscontro il declassamento dei paesi più deboli. Il primato tedesco è dunque frutto di una politica economica fraudolenta messa in atto dalla Germania. Ma chi, ieri come oggi, è in grado di sanzionare la Germania?

Lo stesso paradigma si ripropone nell’emergenza energetica. Il piano di finanziamenti tedesco di 200 miliardi è palesemente una erogazione di fondi pubblici a sostegno dell’economia tedesca in crisi, falcidiata dal caro energia e dall’inflazione. Si deve considerare che tutti i paesi della UE nelle fasi di crisi (sia pandemica che energetica), hanno fatto ricorso a programmi di sostegni pubblici. Emerge però una scandalosa sproporzione circa l’entità dei finanziamenti pubblici effettuati dai singoli paesi dal settembre 2021 al settembre 2022: la Germania ha stanziato 384,2 miliardi, la Gran Bretagna 238,4, la Francia 81,3, l’Italia 73,2, la Spagna 35,5. Si rileva quindi che si è instaurata una vera e propria competizione tra gli aiuti di stato erogati dai singoli paesi, in cui gli effetti distorsivi della concorrenza hanno favorito le posizioni economiche dominanti della Germania e dei suoi alleati, a danno comunque dei paesi più deboli. L’Italia infatti ha ristretti spazi di manovra di bilancio a causa dell’elevato debito pubblico. L’economia italiana, inserita nella catena di valore dell’industria tedesca, si rivela particolarmente vulnerabile, dato che sarà penalizzata nella sua competitività, a causa dei più elevati costi energetici a carico delle imprese italiane. La Germania ha giustificato tale misura unilaterale di sostegno all’economia sulla base dei grandi spazi di manovra di bilancio, resi possibili dalla sua proverbiale virtuosità finanziaria rigorista. Ma certo è che la sua potenza finanziaria si è potuta realizzare mediante l’espansione dell’export e quindi in virtù di surplus commerciali prodottisi a discapito dell’Italia e di altri paesi. La UE è dunque succube degli egoismi prevaricatori dei paesi economicamente più forti. La sua disunione è apparsa evidente nel rifiuto della Germania di aderire alla iniziativa dell’Italia, della Francia e di altri paesi per la fissazione di un tetto europeo al prezzo del gas. La Germania infatti, oltre a sostenere la sua economia con un gigantesco piano di aiuti pubblici, può giovarsi dei contratti a termine tuttora in vigore (ma in scadenza a fine anno), con la Russia per forniture di gas a basso prezzo. L’Olanda ha espresso il suo rifiuto sia al price cup che alla proposta di disallineamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. L’Olanda è ovviamente intransigente, dati gli enormi profitti speculativi realizzati con il rialzo delle quotazioni dei titoli energetici alla borsa di Amsterdam. E la crisi energetica, come si sa, non è dovuta alla guerra ma alla speculazione finanziaria sul prezzo del gas. La Norvegia, che non è membro della UE ma della Nato, ha innalzato il prezzo dell’esportazione di gas fino al 70% e il suo fondo sovrano ha ricavato profitti per circa 80 miliardi. Nella guerra e nella crisi esiste quindi una parte dell’Europa che si arricchisce a spese dell’altra. È stata spesso esaltata la compattezza unitaria dimostrata dall’Europa dinanzi alla crisi pandemica, con la creazione di un debito comune europeo, con il varo cioè del Recovery fund. Ma sulla politica vaccinale della UE incombono ombre assai oscure. Si è rilevata la scarsa trasparenza delle trattative intercorse tra la Von der Leyen e il presidente della Pfizer Albert Bourla in merito all’acquisto dei vaccini, svoltesi attraverso una corrispondenza avvenuta tramite sms il cui contenuto è stato inspiegabilmente cancellato. Bourla non si è poi presentato per testimoniare dinanzi alla commissione sul Covid del parlamento europeo, che sta svolgendo indagini su tali trattative. È emerso altresì un palese conflitto di interessi che investe la Von der Leyen, il cui marito è dirigente della Orgenesis, società del settore biotech controllata dai fondi di investimento Vanguard e Black Rock, che a loro volta controllano anche la Pfizer. Il Recovery fund fu inoltre ostacolato dalla opposizione dell’Olanda e dei paesi frugali, che diedero il loro assenso in cambio della concessione nei loro confronti di sgravi fiscali da parte della UE. Analoga politica non è stata invece replicata in occasione della crisi energetica. A causa della opposizione tedesca non verrà creato alcun fondo europeo a sostegno dei paesi in difficoltà per il caro energia. Dato che non verrà alla luce alcun fondo comune europeo per l’energia, ogni paese europeo dovrà far fronte alla crisi con le proprie risorse. I paesi della UE non sono produttori di materie prime né potenze finanziarie di rango mondiale. L’Europa ha costruito la sua potenza economica sull’industria manifatturiera. Quindi dovrà affrontare la crisi energetica mediante scostamenti di bilancio e manovre in deficit. Ma è evidente lo squilibrio di risorse finanziarie disponibili da parte della Germania rispetto agli altri paesi per implementare politiche fiscali atte a contrastare efficacemente l’impatto di questa crisi. È dunque lecito definire la politica economica di Scholz come una forma di rapace nazionalismo fiscale che condurrà fatalmente alla dissoluzione di fatto della UE.

La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha comportato un drastico ridimensionamento sia geopolitico e economico della Germania. La potenza economica tedesca ha potuto svilupparsi mediante la crescita del suo export, le forniture di gas russo a basso prezzo e le delocalizzazioni industriali nell’Europa orientale. La guerra e le successive sanzioni imposte alla Russia stanno determinando progressivamente la fine dei legami economici ed energetici tra la Germania e la Russia stessa. La guerra in Ucraina ha provocato parallelamente l’interruzione della via della seta su rotaia che collega la Cina con l’Europa (traversando l’Ucraina), e pertanto sia l’export tedesco che le catene di approvvigionamento di semiconduttori, di materiali tecnologici e infrastrutturali per l’industria hanno subito un drastico tracollo. Il modello economico tedesco basato sull’export è in via di dissoluzione. Questa guerra ha quindi indotto la Germania ad effettuare un suo riposizionamento sia economico che geopolitico nell’ambito della Nato. Scholz, in considerazione della scelta di campo atlantica e del ridimensionamento del ruolo economico e geopolitico della Germania, vuole tuttavia riaffermare il primato tedesco in Europa. Con la crisi energetica la Germania ha imboccato la via della recessione. A causa dell’aumento dei prezzi del gas, l’inflazione si attesterà all’8,4% nel 2022 e all’8,8% nel 2023. Il Pil tedesco è in calo, la crescita si ridurrà nel 2022 all’1,4%, mentre nel 2023 è previsto un calo dello 0,4%. L’indice della fiducia dei consumatori (Esi), registra un calo di 3,5 punti ed ha raggiunto i minimi storici. Scholz pertanto, dinanzi alla recessione incombente, al dissenso dilagante nell’opinione pubblica e alle scadenze elettorali prossime in alcuni laender tedeschi, ha varato questo piano di aiuti per 200 miliardi di fondi pubblici destinati alle imprese e ai cittadini onde far fronte al caro energia. Data la sperequazione dei costi energetici che si verificherà tra le imprese tedesche e quelle degli altri paesi della UE, la Germania ha messo in atto una manovra shock che si configura come una gigantesca operazione di dumping industriale e finanziario ai danni del resto dell’Europa. L’intento di Scholz è quello di arginare il declassamento economico della Germania scaturito dalla chiusura dei principali mercati dell’export tedesco e al rilevante calo di competitività subito dall’industria tedesca nei confronti del mercato americano. Il rafforzamento dell’export tedesco in Europa, realizzato con manovre atte a produrre rilevanti distorsioni della concorrenza, sarà sufficiente a far fronte alla recessione interna e a colmare le perdite subite dall’export verso la Russia e i mercati asiatici? Certamente no. Il dumping tedesco infatti avrà solo l’effetto di esportare nella UE la sua stessa crisi. La recessione europea produrrà solo decrementi della domanda che si ripercuoteranno negativamente anche sull’economia tedesca. L’Italia è particolarmente esposta alla concorrenza sleale della Germania. In una Italia già depauperata nella sua struttura industriale da decenni dalle manovre aggressive franco – tedesche, potranno verificarsi con la recessione incombente nuove crisi del debito, a cui faranno seguito rinnovate politiche di austerity. In tale contesto, si riproporranno nuove iniziative aggressive della Germania, da sempre ansiosa di appropriarsi del patrimonio immobiliare e del risparmio italiano, che è tra i più elevati d’Europa.

L’Europa non sarà certo smembrata dalla politica di ricatto energetico di Putin, ma da un processo di decomposizione interna già in stato avanzato. Occorre inoltre rilevare il silenzio doloso della Von der Leyen riguardo alle iniziative di nazionalismo predatorio della Germania. Si è solo limitata a retorici appelli all’unità della UE. Quella stessa Von der Leyen che ha sanzionato il sovranismo dell’Ungheria di Orban e si è resa responsabile di gravi ed indebite ingerenze nelle elezioni italiane affermando che “se le cose andranno in direzione difficoltosa, abbiamo gli strumenti per agire”, ora tace nei confronti del nazionalismo predatorio di Scholz. In realtà, con la fine della Guerra fredda e l’espansione della Nato nell’est europeo, è venuta meno la rilevanza del ruolo strategico della Germania nel contenimento della Russia. Tale ruolo è oggi ricoperto dalla Polonia e dai paesi baltici che confinano direttamente con la Russia. La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha determinato il riposizionamento geopolitico dell’Europa nell’ambito della Nato in funzione russofobica. Ma, in perfetta coerenza con la strategia geopolitica americana, si sta verificando anche la decomposizione interna della UE. L’Europa, priva di una soggettività geopolitica autonoma nel contesto mondiale, ridimensionata nella sua potenza economica e resa dipendente dagli USA nel campo energetico, non potrà che frantumarsi progressivamente, dilaniata dalle conflittualità interne. Il declino dell’euro ne è una prova evidente. L’euro si sta svalutando nei confronti del dollaro a causa della politica antinflazionistica messa in atto dalla FED che comporta rialzi progressivi dei tassi di interesse. E i rialzi dei tassi deliberati dalla BCE avranno effetti devastanti su una economia europea in fase di recessione. Questa rincorsa della BCE ai rialzi dei tassi americani finirà col dissanguare l’Europa. La strategia imperialista americana di aggressione all’Eurasia implica la destrutturazione dalla UE. La crisi economica incombente si tramuterà presto in crisi politico – istituzionale che coinvolgerà tutti i paesi europei. Esploderà anche una conflittualità sociale alimentata dall’accentuarsi delle diseguaglianze che si rivelerà insanabile. Emergeranno ben presto le responsabilità delle classi politiche riguardo alle suicide scelte atlantiste dell’Europa. Solo dalla dissoluzione interna della UE e dalla implosione del modello neoliberista potrà emergere la nuova Europa dei popoli e delle patrie europee. È questa una utopia? Ebbene, solo questa utopia può salvarci.  

Luigi Tedeschi

 
Come se ne esce PDF Stampa E-mail

5 Ottobre 2022

 Da Appelloalpopolo del 3-10-2022 (N.d.d.)

1) STOP immediato sanzioni alla Russia;

2) STOP immediato armi all’Ucraina;

3) telefonata immediata a Putin e incontro bilaterale per concordare il ruolo dell’Italia come mediatore per la PACE;

4) congelamento immediato di TUTTE le bollette;

5) scala mobile totale;

6) 200 miliardi di investimenti pubblici all’istante utilizzando la liquidità già in cassa e l’emissione straordinaria di titoli di Stato.

Che dite? Non si può fare perché siamo nell’Unione Europea? Non so se l’avete capito che la scelta è fra Europa e la fine del Paese: DECIDETE!

Lorenzo D’Onofrio

 
Lo stato delle cose PDF Stampa E-mail

4 Ottobre 2022

 Da Rassegna di Arianna del 2-10 -2022 (N.d.d.)

La situazione della società civile occidentale, e italiana in particolare, credo sia riassumibile in questi punti.

1) Da mezzo secolo il lavoro di demolizione della democrazia reale è all’opera, consapevolmente e costantemente. Vi hanno partecipato le riforme scolastiche e i monopoli mediatici, l’ideologia dell’antipolitica e l’incentivazione alla competizione individuale illimitata. È stato un lavoro che ha coinvolto due generazioni e ora è completo, perfetto. 2) La gente non è necessariamente né più stupida, né più ignorante di mezzo secolo fa, ma ha perduto nella maniera più completa la capacità primaria di organizzarsi, di dialogare, di costruire insieme qualcosa. Manca la formazione, manca l’atteggiamento, manca la base materiale ed istituzionale per fare alcunché: l’azione collettiva è morta. 3) Tutti coloro i quali si appellano a qualche “situazionismo”, a qualche flash mob, a qualche chiassata estemporanea per “ottenere la visibilità dei media” come forma di azione collettiva non ha capito niente. Sta chiedendo al sistema di prendere sul serio la sua voce laddove il sistema è nato per silenziare o strumentalizzare le voci sgradite. 4) A livello delle classi dirigenti la demolizione della sfera politica, della sua autorevolezza e della comprensione della sua necessità ha condotto ad un declino verticale della qualità di questi ceti apicali. Questo processo di degrado e dilettantismo delle classi dirigenti politiche non è un monopolio italiano, ma è una tendenza generalizzata: quando non sono dilettanti allo sbaraglio sono tecnocrati a gettone. È per questa semplice ragione che stiamo precipitando nell’abisso senza muovere un sopracciglio. Siamo un intero continente che si comporta come quell’uomo, in caduta libera dal grattacielo, che ad ogni piano si dice: “Finora tutto bene.” 5) A livello sociale e riflessivo la situazione è egualmente disperante. L’intera sfera dell’attenzione sociale è rivolta a dimensioni privatistico-sentimentali, finto-intimistiche, immaginando che il mondo cambierà se solo avremo portato alla luce con abbastanza sottigliezza qualche intimo fremito, qualche zona umbratile del nostro animo tra sonno e veglia. Questa iperconcentrazione sulle sorti del proprio ombelico è la cifra dell’ultima generazione, che per tutto ciò che riguarda i rapporti strutturali, storici, sociali, lavorativi, legali, tradizionali, comunitari è ridotta al livello zero: rotelline disposte a tutto, che dove le metti stanno, sensibili solo all’agenda di moda. 6) Una volta qualcuno pensava che fosse la religione l’oppio dei popoli. Fu un grave errore di analisi. La religione che avevano davanti gli occhi nell’800 giocava sì quel ruolo, ma era semplicemente una deriva culturale in cui i ceti dominanti mettevano a tacere le coscienze strumentalizzando promesse virtuali (l’Aldilà garantito agli obbedienti). Oggi le promesse virtuali che addormentano le coscienze le abbiamo ovunque intorno a noi h24 in forma di infinite comunicazioni mediatiche, paradisi artificiali delle pubblicità, stili di vita tanto al chilo sparati alla TV, narrative consolanti e edificanti intorno a mondi lontani, esotici o fittizi. Una volta il rinchiudersi in un mondo virtuale, accomodante, impermeabile e restio a percepire quale che accade fuori era segno dell’indebolimento terminale dei molto anziani, che riducevano la complessità percepita del mondo perché non avevano più le forze per affrontarla. Oggi questo tratto è pressoché universale. 7) Non so se c’è una via d’uscita da tutto ciò che non passi attraverso la catastrofe. E di questi tempi le catastrofi possono non essere qualcosa che coinvolge solo lutti personali, ma possono coinvolgere la stessa esistenza in vita di tutti. Se ci fosse una via d'uscita, se una via stretta fosse ancora disponibile, essa deve passare dall’abbandono di personalismi e velleitarismi, dall’abbandono di due idee petit bourgeois: quella per cui “se solo tutti facessero così allora sì che…”, e quella per cui "posso aderire a un progetto solo se è fatto a mia immagine e somiglianza".

Per inciso, non accade mai che tutti facciano la stessa cosa salvo in due casi: se c’è una costrizione esterna dovuta alla necessità (tutti si rifugiano se sei sotto un bombardamento) o se c’è un coordinamento prodotto da un’organizzazione. Il primo si verificherà se arriveremo alla catastrofe. Il secondo richiede di prendere dannatamente sul serio la possibilità della catastrofe e la responsabilità di evitarla.

Andrea Zhok

 
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